“Non sento più niente”: emozioni, autolesionismo e rischio di suicidio

Persona su una panchina che sembra disperata. Emozioni negative.

È circa un anno che lavoro con gli adolescenti in una comunità socio-educativa. Ho visto e sentito molte storie, parlato con diversi ragazzi, cercato di aiutarli e guidarli lungo il loro percorso e nelle loro emozioni. Uno dei problemi centrali all’interno di questi contesti, ma che si può allargare un po’ a tutta l’adolescenza e a tutta quella fetta di popolazione – molto ampia- del mondo che ha subito violenze e traumi, è il rischio di suicidio e l’autolesionismo.

È noto che l’autolesionismo sia una delle forme di regolazione delle emozioni, almeno secondo le teorie con più fondamento in ambito psicologico. La persona si auto-lesiona per diminuire il senso di colpa, la tristezza, la solitudine, l’incertezza, persino la rabbia oppure, al contrario, per riuscire a provare qualcosa che non sia quello che sta provando in quel momento. Il dolore di un taglio, quindi, diventa sostituto di urla, lacrime e ansie che si affollano, riportano la persona nel presente, in quanto il sangue sta sgorgando ora e non nel “lì e allora” del ricordo che si sta facendo sempre più prepotente.

Quando è però che le cose si fanno più pericolose? Quando, effettivamente, ho imparato ad aver paura per l’incolumità del ragazzo o, nel caso del mio lavoro in studio, dell’adulto di fronte a me?

Le emozioni

Facciamo un passo indietro: cosa sono le emozioni?

Le emozioni sono questa sorta di mescolanza fra stati mentali e fisici che influenzano e rispondono a ogni momento della nostra vita. Risiedono in una delle parti più antiche del nostro cervello e, grazie all’evoluzione, sono diventate sempre più complesse.

Se avete visto Inside Out, sapete che molti teorici pensano ci siano emozioni di base, presenti in tutte le popolazioni del mondo e anche nei neonati, ed emozioni secondarie, mescolanza delle prime. Le emozioni variano di numero in base alla teoria a cui ci affacciamo, ma dato che la cultura pop va alla grande, prenderemo in considerazione Paul Ekman e diremo che sono cinque: Gioia, Rabbia, Paura, Tristezza, Disgusto.

Con la crescita, queste emozioni diventano più complesse, articolate, si mescolano, assumono le sfumature più svariate. Fatto sta che le proviamo.

L’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva è una parte dell’intelligenza (maddai?) che consiste nella capacità di percepire, valutare, comprendere, gestire e utilizzare le emozioni. Andando più nello specifico, e prendendo in prestito il modello di Daniel Goleman, all’interno di questa intelligenza rientra:

  • Consapevolezza di sé: riconoscere un’emozione, saperla etichettare, saperne parlare o comunque avere la percezione di star provando qualcosa;
  • Dominio di sé: la capacità di gestire queste emozioni e di utilizzarle per un qualche scopo, che sia anche solo quello di sfogarsi o di cedere il proprio fardello a qualcuno;
  • Motivazione: contiene a sua volta due capacità:
    • l’abilità di poter interrogarsi sul motivo per cui è nata un’emozione, cosa è accaduto, perché la si sta provando;
    • l’abilità di poter indagare su quali emozioni abbiano guidato una certa azione;
  • Empatia: capacità di mettersi in contatto con le emozioni dell’altro, riconoscendole;
  • Abilità sociale: capacità di stare insieme agli altri e di utilizzare le proprie emozioni e quelle degli altri in un contesto complesso.

Ovviamente non siamo sempre, in tutti i contesti della nostra vita capaci di attingere a queste abilità. Questa intelligenza, come tutte le altre, fluttua in base alla crescita, il momento di vita, l’evento che stiamo vivendo, o anche lo stato di salute mentale. Quello che differenzia una persona con spiccata intelligenza emotiva da un’altra che, al contrario, non la ha è la capacità di restare sempre e comunque parzialmente in contatto con le proprie emozioni e con quelle dell’altro, riconoscendosi e riconoscendole nel contesto in cui è immerso.

Alessitimia

L’Alessitimia è l’inverso dell’intelligenza emotiva. Una persona che ha problemi in una o più delle abilità sopra elencate, come caratteristiche del momento o della propria personalità, viene detta alessitimica. Sotto questo termine, però, la comunità scientifica fa ricadere qualsiasi tipo di deficit nell’elaborazione e riconoscimento delle emozioni, con una difficoltà nell’identificarle e comunicarle ed è solitamente associata a disturbi di ansia e depressione.

Può capitare che, durante la nostra vita, gli eventi ci portino a perdere un contatto con le emozioni, non riconoscerle, non saperle più gestire, non capire più il perché le si provi o come utilizzarle in un dato contesto sociale. Può capitare perché siamo esseri umani, perché la nostra intelligenza è soggetta a fluttuazioni e perché le emozioni possono essere per così tanto tempo nascoste o soffocate da restare in un angolo della nostra mente senza essere mai rielaborate.

Questo accade ad esempio nel caso di traumi e violenze subite. La persona nel momento dell’evento traumatizzante ha dovuto stringere i denti, ingoiare le emozioni e pensare solamente a sopravvivere. Non si può dire che non abbia provato le emozioni: le ha provato eccome, ma le ha scaraventate in un angolo della propria mente e lì ha cercato di dimenticarle. Ma lì, quelle, sono rimaste.

Può anche accadere che, in situazioni simili successive al trauma, quando il soggetto prova emozioni simili a quelle provate nel momento dell’evento traumatizzante, si perda il contatto con le emozioni.

Sono arrivato ad essere così disperato/arrabbiato/deluso/furibondo da non sentire più niente

Non sento più niente

Cosa c’è di più pericoloso del “non sento più niente”?

Tutte le nostre abilità sono frutto di milioni di anni di evoluzione affinché la nostra specie sopravvivesse. Le emozioni, che condividiamo con tutto il mondo animale, sono uno dei meccanismi chiave della sopravvivenza.

Ci fa paura → Ci allontaniamo → Ci siamo salvati la vita

Quando non sentiamo più nulla, quando l’apatia prende il sopravvento su tutto il resto, quando ci sembra di guardare tutto da così lontano da non avere nemmeno più voglia di prestare attenzione, è lì che si insinua il campanello di allarme.

È qui che la persona può ricercare l’autolesionismo per “provare almeno qualcosa” oppure può pensare “bene, sono arrivato al capolinea, la mia vita fa schifo, facciamola finita”.

È qui, quando si sente o si dice questa frase, che si dovrebbe chiedere aiuto e ricercare di nuovo un contatto con le emozioni.

Cosa fare?

Se sei una persona che si rivede in tutto questo, forse è ora di cercare un aiuto presso uno Psicologo che possa aiutarti a creare una tua cassetta degli attrezzi per affrontare questi momenti.

Un percorso psicologico può puntare a rimettervi in contatto con le emozioni e rinforzare la vostra intelligenza emotiva, le vostre abilità di riconoscimento, gestione e motivazione delle emozioni.

Nel caso in cui siate vicino ad una persona che riporta questo tipo di distacco dalle emozioni, vi prego di non abbandonarle, di semplicemente ascoltarle. Accompagnarle nel loro processo di riavvicinamento delle emozioni e nella scelta di affidarsi a un professionista. Non è un lavoro semplice per chi non ha una preparazione professionale e può risultare frustrante. Potete a vostra volta chiedere l’aiuto di un esperto per poter ricevere il supporto e gli strumenti necessari per aiutare il vostro caro.


Bibliografia:

  • Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Milano, Rizzoli, 1997
  • Ekman P., Basic Emotions. In: T. Dalgleish and M. Power (Eds.). Handbook of Cognition and Emotion. John Wiley & Sons Ltd, Sussex, UK, 1999
  • Norman, H., Oskis, A., Marzano, L. & Coulson, M. (2020). The relationship between self-harm and alexithymia: A systematic review and meta-analysis. Scandinavian Journal of Psychology, 61, 855–876
  • Adam Iskric, Amanda K. Ceniti, Yvonne Bergmans, Shane McInerney, Sakina J. Rizvi(2020), Alexithymia and self-harm: A review of nonsuicidal self-injury, suicidal ideation, and suicide attempts, Psychiatry Research, Volume 288, 112920
  • Michael D. Anestis, Thomas E. Joiner (2011) Examining the role of emotion in suicidality: Negative urgency as an amplifier of the relationship between components of the interpersonal–psychological theory of suicidal behavior and lifetime number of suicide attempts, Journal of Affective Disorders, Volume 129, Issues 1–3, Pages 261-269
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